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Crescere implica anche una quota di sofferenza
a cura della dr.ssa Eleonora Ciaburri

sofferenza

Cosa accade quando, come genitori, cerchiamo a tutti i costi di impedire ai nostri figli di soffrire? Siamo davvero sicuri che il nostro istinto di protezione sia sempre quello giusto? La verità è che, nel tentativo di evitare ogni dolore, rischiamo di trasmettere un messaggio pericoloso: che il dolore è qualcosa di intollerabile, e che se loro soffrono, siamo noi a non saperlo gestire.

Quando un genitore costruisce un mondo intorno al figlio fatto di cuscinetti di sicurezza per evitare che possa mai sperimentare il dolore, quel genitore non sta solo “proteggendo” il figlio: sta mostrando, senza rendersene conto, che non è in grado di tollerare il proprio dolore nel vedere il figlio soffrire. E questo è il punto cruciale: il figlio non apprende solo che il dolore deve essere evitato a tutti i costi, ma che la sofferenza di chi lo ama è insopportabile, al punto da doverla estirpare. Così facendo, il bambino cresce con una fragilità che gli impedisce di affrontare le difficoltà della vita, perché ha visto che il dolore non si può nemmeno “guardare in faccia”.

Uno dei compiti più importanti di ogni famiglia è quella di riuscire a trasmettere una modalità di trattare il dolore. Non si tratta di proteggere i figli da ogni sofferenza, ma di insegnare loro una modalità di “gestione” della stessa. La famiglia non deve essere un rifugio che elimina le difficoltà, ma uno spazio in cui il dolore può essere vissuto, compreso e trasformato. Se i genitori non sono in grado di tollerare la propria sofferenza, come potranno mai insegnare ai figli a farlo? Quando eliminiamo ogni ostacolo, il messaggio che trasmettiamo è “non ce la puoi fare da solo”. Ed il figlio cresce con la convinzione di non essere capace, di aver bisogno di qualcun altro per affrontare le difficoltà.

Questa dinamica crea una spirale pericolosa. Quando i genitori si sentono incapaci di tollerare il dolore dei propri figli, finiscono per impedirgli di esprimerlo. E il dolore non detto, quello che non trova mai un canale di uscita, non scompare ma si incista, diventando sempre più difficile da affrontare con il passare degli anni. È come una cisti che cresce, pronta a esplodere in modi inaspettati, magari proprio quando ci troveremo di fronte a una difficoltà che, apparentemente, non giustifica tanta sofferenza.

Il dolore è una parte inevitabile della vita. Evitarlo non fa che renderlo più grande e più difficile da gestire. È come se cercassimo di livellare il terreno, eliminando ogni ostacolo, solo per trovarci un giorno di fronte a un’impossibile montagna. Il dolore, se affrontato, diventa un alleato. Imparare a tollerarlo, a viverlo e ad elaborarlo è fondamentale per la crescita. Perché è proprio nelle difficoltà che i bambini scoprono che possono farcela, che la vita non è sempre facile, ma che si può superare.

Siamo spesso spaventati dal dolore dei nostri figli, ma la vera paura è la nostra: non vogliamo vedere la loro sofferenza perché ci fa soffrire, vedere i figli soffrire crea in noi dei sensi di colpa e l’idea di non essere dei bravi genitori. Eppure, come genitori, non siamo chiamati a “proteggere” i nostri figli da ogni dolore, ma a insegnar loro che, attraverso la sofferenza, si cresce e si acquisiscono strumenti per affrontare il mondo. È un viaggio che dobbiamo fare insieme: non per evitare il dolore, ma per imparare a gestirlo e a trarne insegnamenti. Essere genitori “sufficientemente buoni” non significa eliminare tutto ciò che può far soffrire un figlio. Significa insegnargli che anche nel dolore e nel disagio può trovare una strada, una soluzione, una forza che non sapeva di avere.

E proprio in questo processo di crescita, le fiabe svolgono un ruolo fondamentale. Le storie che leggiamo ai nostri figli non sono solo intrattenimento, ma veri e propri “manuali di sopravvivenza”

emotiva. Le fiabe, anche quelle più dure e apparentemente violente, sono un mezzo per insegnare ai bambini che il bene e il male, la luce e l’ombra, sono connaturati l’uno nell’altro. E non possiamo rimuovere l’oscurità senza ridurre anche la potenza della luce.

Purtroppo, troppo spesso assistiamo a tentativi di “edulcorare” le fiabe, modificando i contenuti che ci sembrano troppo crudi o violenti. Ma questa censura non fa altro che impoverire il messaggio profondo che queste storie trasmettono. Le fiabe parlano direttamente all’inconscio del bambino, offrendo archetipi che sono universali e senza tempo. Quando si rivedono o si tagliano parti significative di una fiaba, si rimuovono proprio quei messaggi che sono essenziali per la crescita: che la vita è fatta di prove, di fallimenti e di successi e che affrontare il male è parte di quel percorso.

Pensiamo alla fiaba dei “Tre Porcellini”: nel racconto originale i primi due porcellini non sopravvivono al lupo, una morte che non è affatto gratuita. La loro fine serve a trasmettere una lezione fondamentale: la crescita avviene solo quando affrontiamo le difficoltà, quando impariamo dai nostri errori. W. Disney, nel tentativo di “alleggerire” la storia, fa scappare i primi due porcellini, cancellando il vero significato, cioè quello dell’evoluzione.

Eliminare il dolore dalle storie, come nella vita, significa privarci degli strumenti per crescere. Le fiabe sono una scuola di vita. E proprio come i bambini hanno bisogno di incontrare il dolore nelle storie, devono imparare a farlo anche nella realtà. Non possiamo proteggerli da tutto. Il nostro compito è insegnare loro a crescere attraverso il dolore, a renderlo una parte integrante della loro esperienza, senza paura.

“Non ostacolate i vostri figli rendendo loro la vita facile” (Robert A. Heinlein)

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